FIRE: un espresso con Gianni Denitto

 

28 maggio, 2023

In occasione dell’uscita dell’album “Fire feat. Adrian Sherwood” abbiamo intervistato Gianni Denitto, sassofonista e autore di Torino che, lungo la sua eclettica carriera, sta coniugando culture e riferimenti artistici variopinti, miscelando con naturalezza timbri acustici ed elettronici.

> Ivano Rossato


Ci puoi parlare del progetto Fire, dei tuoi compagni di strada e di come sì è arrivati alla pubblicazione di “Fire feat. Adrian Sherwood”?
FIRE feat. Adrian Sherwood è la colonna sonora di un’opera audio video che racconta in 7 atti le domande cruciali su come ci sia “scappato di mano” il fuoco, trasformandoci da cacciatori raccoglitori in “Titani scatenati”. 
 
FIRE è stato registrato dal vivo e mixato/dubbato in analogico direttamente sul palco dal grande maestro del suono inglese Adrian Sherwood, che ha accettato la “sfida” di mettere mano ad un disco live mentre veniva eseguito per la prima volta davanti al pubblico.
 
Ringrazio i direttori del Torino Jazz Festival Giorgio Li Calzi e Diego Borotti per aver accolto il progetto nell’edizione in pandemia del 2020
 
Una bellissima esperienza condivisa con il trombettista ideatore del progetto Ivan Bert (Dark Magus Orchestra, Emma for Peace, Jazz TO Nepal), il polistrumentista e produttore Marco “Benz” Gentile (Africa Unite, Meg, Architorti), il produttore FiloQ (Istituto Italiano di Cumbia, Uhuru Republic, Vinicio Capossela) e uno dei nomi più internazionali del jazz italiano attuale il vibrafonista e percussionista Pasquale Mirra alla MIDI Marimba.
 
Come sono nate le composizione presenti nel live?
Le musiche sono nate grazie al classico “metodo ping pong” del tempo di Covid: ognuno ha lavorato alle sue parti da casa, confrontandosi a distanza. Abbiamo fatto le prove direttamente il giorno prima del concerto: il risultato ci ha stupito per la naturalezza e l’attitudine ai temi trattati.
Tutte le composizioni attingono dall’enorme iconografia dedicata al fuoco in tutte le ere e in tutte le civiltà, fino ad arrivare all’attualità dominata dagli effetti incontrollabili dello sviluppo tecnologico su scala planetaria.
 
 
 
Lungo le tracce dell’album sì viaggia attraverso culture e colori diversi in una tradizione che richiama le esperienze di Orb, Transglobal Underground, Ozric Tentacles, Nitin Sawhney…quali sono i principali riferimenti artistici che pensi che abbiano ispirato te e la band?
Sicuramente ogni musicista coinvolto in Fire ha le sue influenze e le ha portate nel progetto: a maggior ragione quando si tratta di una composizione condivisa e a distanza. Il mix e’ una sintesi tra Miles Davis, Philip Glass, Massive Attack, Mulatu Astatke, Public Enemy. 
Poi c’è l’amore comune per la dub music, per i bassi profondi. A livello visivo tra gli artisti che ci hanno influenzato posso citare Godfrey Reggio, Yann Arthus Bertrand, Chris Cunningham.
 
In questo album, così come nella produzione dei TUN e tua da solista, ti muovi mescolando elettronica e jazz… cosa vedi nel rapporto di un ambito sintetico apparentemente “quadrato” e una forma d’arte che ha fatto dell’improvvisazione libera forse la sua maggiore peculiarità?
Sia con TUN sia con FIRE l’improvvisazione è la parte fondamentale: il 75% dei nostri concerti è improvvisazione libera, ma usiamo spesso i canoni della musica elettronica: cambi ritmici ogni 16 misure, elaborazione e sviluppo di potenti linee melodiche e di basso invece che i classici assoli.
D’altronde anche molti tipi di jazz hanno dei paletti e delle palette di colori. Crearne una personale è la grande sfida.
 
Il prossimo passo?
Sto lavorando intensamente al mio quarto album da solista: questa volta non in solo sax+ elettronica  ma in quintetto, tre fiati basso e batteria. Un altro capitolo. Quattro brani sono già pronti, Non vedo l’ora di farvelo ascoltare!
 
 
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