Akira: intervista a Emanuele Francesconi
3 marzo 2020
In occasione dell’uscita del disco “Akira” abbiamo intervistato Emanuele Francesconi.
Di Eugenio Mirti
Giovedì 20 febbraio Emanuele Francesconi ha presentato il suo nuovo album “Akira” al Café des Arts di Torino; l’album, pubblicato da DDE e prodotto da Mike Generale, vede il pianista piemontese accompagnato da Paolo Franciscone alla batteria e Simone Bellavia al basso elettrico; ospite alla voce Nelsi Furtado.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Il fuoco musicale, che chiamerei quasi una “chiamata religiosa” per la musica, arrivò verso il periodo della prima media: ricordo che suonavo il flauto e mi rimanevano le melodie nella testa, giocavo a pallone ma con le dita facevo i movimenti come se suonassi il flauto. Una voce dentro di me mi diceva “hai trovato il tuo!”. Poi alle superiori ho fatto tutt’altro e ho iniziato il conservatorio da privatista a vent’anni, ma avevo capito che il sentiero era quello.
Quali sono i musicisti che ti hanno ispirato di più?
Bill Evans, Chick Corea, Herbie Hancock, poi la grande tradizione come Alexander Monty, Wynton Kelly…
Un disco che porteresti sull’isola deserta?
“My Spanish Heart” di Chick Corea.
Parliamo di “Akira”.
È un disco in trio e ben rappresenta l’estetica delle mie composizioni per questa formazione; riascoltandolo ho anche capito quanto mi ha influenzato Petrucciani dal punto di vista melodico. Ho sempre avuto una spinta di scrivere brani nella tradizione degli standard jazz, con le classiche progressioni tonali (e non) nella cultura armonica americanea.
Poi uscirà un disco con quartetto d’archi, un connubio tra classica e improvvisazione che rivede per esempio l’Andante di Mozart, e poi altre composizioni classiche mie, rivisitazioni dei Doors, e così via. Sono due estetiche differenti che sento nella mia sensibilità.
Qual è la a formazione con cui ti piace di più suonare?
Sono mood diversi, ma il quartetto d’archi mi dà un’emozione forte.
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