Message: un espresso con Max Ferri
24 maggio 2022
Il 18 marzo la Ultra Sound ha pubblicato Message, il disco di esordio del trio guidato da Max Ferri. Lo abbiamo intervistato.
> Eugenio Mirti
Come si è formato il trio? Come hai scelto la ritmica?
Desideravo avere un trio così da tanto, tanto tempo. Per un motivo o per l’altro il progetto si arenava sempre. Conoscevo già Giorgio Di Tullio e quando capitava d’incontrarsi si parlava sempre di fare qualcosa insieme. Un giorno sono andato a sentirlo suonare con il suo quintetto e sono rimasto scioccato dall’energia che lui e William Nicastro sviluppavano insieme. Così è scoccata la scintilla che ha dato origine a questo progetto.
Come avete selezionato gli ospiti?
Marco Scipione l’ho visto crescere (artisticamente) ad una velocità incredibile, avevamo suonato insieme in passato e mi è sempre piaciuto il suo suono, il suo timing, e poi ha un fraseggio irresistibile. Sono molto felice che abbia accettato di suonare su “Freud”. Giorgio mi ha proposto Nicolò Fragile, visto che volevo aggiungere un piano elettrico in “Dance of the Spirits”, e che dire… il suo assolo è di una classe pazzesca! Invece per “Yes or No” serviva un bel solo di un jazzista navigato ed ho pensato al sax di Tullio Ricci, che non ha mancato di sorprenderci.
Come lavori alle composizioni e arrangiamenti? E come hai scelto i brani (classicissimi) non originali?
Ci sono brani che nascono da un’ispirazione momentanea: una melodia, un riff che mi “ritrovo” inconsciamente tra le dita. Altre volte decido a priori che voglio scrivere un determinato tipo di brano, come se me lo auto-commissionassi. Per gli arrangiamenti mi affido molto ai miei musicisti, ma riascolto sempre attentamente le registrazioni delle prove e dei live cercando di capire se qualcosa in un determinato brano può essere migliorato.
“Inner Urge” e “Yes or No” sono due dei miei standard jazz preferiti e il nostro intento era dar loro un’impronta originale. “Third Stone from the Sun” è uno dei brani più sorprendenti e innovativi di Hendrix, la sua personale sintesi tra jazz e rock: semplicemente fantastico!
Il sound mi ricorda quel mondo tra Scott Henderson e Robben Ford, un po’ jazz, un po’ rock e un po’ blues. Sei d’accordo? Quali sono i musicisti che ti hanno più ispirato?
Sono d’accordissimo! Robben mi ha sempre entusiasmato per il suo suono, il timing e il fraseggio elegantissimo. Henderson l’ho amato molto soprattutto con i “Tribal Tech”, e poi inevitabilmente citerei Metheny, Holdsworth e Mc Laughlin. Questi sono sicuramente i chitarristi che mi hanno influenzato di più, ma ho ascoltato e trascritto (credo) tutti i grandi esponenti della chitarra rock e jazz. Naturalmente tra le influenze non ci sono solo chitarristi e, per non dilungarmi troppo, cito solo due nomi: Chick Corea e Michael Breker.
Il disco mi sembra ben equilibrato tra fusion, esperimenti, brani lirici e acustici. Come è nato e come si è sviluppato, considerando che gli album di esordio spesso hanno gestazioni lunghe e affascinanti?
I brani originali sono stati scritti in periodi differenti e non tutti pensati appositamente per un trio, ma dopo alcune prove e concerti il repertorio si è molto amalgamato. Giorgio e William hanno una forte personalità musicale e il mix che è scaturito dal nostro incontro mi piace molto e credo sia molto fresco e naturale. Ho solo aspettato che il tutto maturasse ancora un po’ prima di andare in studio a “immortalare” il risultato.
Sono molto contento anche delle grafiche, il risultato è stato davvero oltre le mie aspettative e rappresenta esattamente quello che volevo: tre musicisti su un palco che con spensieratezza comunicano la loro passione per la musica “suonata”.
Come ti vedi da qui a dieci anni?
A suonare e scrivere musica con le mie due situazioni musicali favorite: il Max Ferri Trio e i Mach 6, un sestetto di jazz elettrico composto da eccellenti musicisti capitanati da uno dei miei guru musicali: Alberto Mandarini. Nel 2020 abbiamo pubblicato il nostro primo album: “Take Off”.
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