Michele Barontini: cronache da festival estivi – Trio Brave New World
31 ottobre 2021
Trio Brave New World (Anfiteatro Villa Strozzi, 10 settembre 2021)
di Michele Barontini
giornalista in questo caso, batterista e polistrumentista di una generazione più anziana e ricercatore in campo etnomusicologico e letterario-filosofico. È uno degli amministratori delle pagine FB “Jazz Lovers” e “Music is the Healing Force of the Universe“. I suoi contributi sotto forma di articoli e testi vari sono consultabili su academia.edu.
Brad Jones: contrabbasso
David Murray: sax tenore, clarinetto basso
Hamid Drake: batteria
Anche il festival del jazz di Firenze è un festival itinerante e si svolge in luoghi diversi della città. Deciso a vedere il trio di David Murray, so che il viaggio è lungo e che non è detto sia una passeggiata, anche nella parte finale del medesimo. Per fortuna sono ospite di fiorentini residenti in centro, infatti domani dovrò iniziare a provare con un quartetto composto da tre pregiatissimi musicisti della città + me.
Quando giungo al domicilio del gentile che mi prende in carico (e viene con me al concerto) mi sono lasciato alle spalle un blackout telefonico che mi ha impedito di farmi presente alla cerchia dell’organizzazione e a mia moglie che ha perso le tracce della gatta a casa, ho subito code in autostrada e sbagliato uno svincolo autostradale. E poi viaggiare costa caro, fa caldo, la gente non demorde e approfitta del bel tempo settembrino per salire in macchina e affollare le autostrade. Alessandro Geri (contrabbassista e mia guida a Firenze) mi informa che sul concerto grava un minaccioso “sold out”. Ma la formula inglese non coincide con un tutto esaurito, come andremo a vedere.
Giungiamo sul posto per tempo con borsone della reflex e obiettivi e persino un cavalletto sulle spalle (quelle del Geri), per piombare nella seguente contingenza di cose: il trio è alla porta e osserva le “rimprensioni” (toscano per rimproveri e rimostranze) verso coloro che sono lì ma non hanno biglietto, né pass (non il “green” intendo). I musicisti paiono mossi a pietà per il nostro caso e ci riservano sguardi comprensivi e incoraggianti. Evidentemente sono interessati dal vedere chi arriva al botteghino e come sono accolti. Pare che non si debba mollare, nonostante le pressanti regole sul green-pass (che tutti hanno) ed i possibili controlli che aggravano la nostra posizione: si tratta di numeri già fissati.
Per fortuna giunge uno della cerchia d’oro che conosco bene. Anche lui è in fallo e subisce una severa lavata di capo dalla responsabile, ma posti di riserva ci sono per lui e gentile signora. Il concerto inizia e dopo poco io e il Geri veniamo inseriti nello spazio fotografi, che sono pochi, pazienti, gentilissimi e non creano alcun assembramento su uno stage ben fatto e molto ampio.
Finalmente! Nel buio sbaglio una decina di scatti, ma seguo la situazione con le mie orecchie. Ho l’indipendenza dei batteristi, almeno quello, e scattare non mi estrania dal divenire della musica. Brad Jones e Hamid Drake non cessano di lavorare con impegno ed energia alla tessitura di quel tappeto volante su cui David possa librarsi nei cieli di Firenze.
Nel corso di un lungo solo di clarinetto basso Hamid esce di scena e mi abbraccia con calore dicendomi: “Nice to see you, man!”, congratulandosi che sia riuscito a passare… una sigaretta e andiamo a fumare nel corridoio (all’aperto) che porta ai loro camerini. Ho solo il tempo di chiedergli: “Do you teach a lot, Hamid?” dopo avergli chiesto un’intervista che vorrebbe darmi ma non sa se ha tempo. Mi risponde “Sometimes” con un sorriso luminoso e corre in scena con tempismo perfetto per riprendere il suo ruolo, certo non minore in questo trio. Il fatto è che Drake ha un suono fantastico ed un tale gioioso controllo della propria danza da seduto, che vederlo suonare è uno spettacolo nello spettacolo.
Continuo a scattare foto, tra le quali qualcuna si salva, e il concerto termina con il classico “Flowers for Albert” di David Murray. Mi ritrovo nei camerini e qui accade l’incidente. Credendo che Hamid sia al bagno e intendendo chiedergli a che ora parte da Firenze mi siedo con la pesante borsa della reflex. Sono stanco, ma l’azione poco educata mi guadagna una staffilata da David: “Who are you?” mi chiede… domanda che chiama in causa tutta la filosofia post-strutturalista, Lacan e i suoi seguaci in psicanalisi e poi a scendere molte altre discipline umane e sociali, aggravata dal fatto che solo “ai posteri l’ardua sentenza…”, decido che non posso mostrarmi imbarazzato e butto giù: “I’m one of your FB friends”, il che corrisponde a miseranda verità. Ma se tutti i suoi amici su Facebook dovessero sedersi nel “suo” camerino sarebbe finita per lui, dice. Tuttavia, nonostante pare non faccia una grinza questa è una classica proposizione logicamente assurda che passa ad un caso generale da un caso particolare che non ha alcuna attinenza col medesimo. Inoltre ha risonanze poco simpatiche sulla professionalità.
Bischero io, che mi sono bruciato una possibile chiacchierata con David Murray, ma lui l’ha messa giù dura. Gli dico che cercavo Hamid, che si scopre è di sopra, e mi dileguo. Sento che sta ridendo di me con Brad Jones, mentre fuggo via; “ma che vuole ancora” mi chiedo, magari sarà stanco del vociare dei fiorentini che non fanno che chiamare: “Amidde, Amidde… dov’è?”
Comunque, mettiamo forse nel conto l’ambiente piuttosto incartato e formale di quella sera (all’ingresso), il sempiterno confronto tra chi “è” qualcuno nella grande lista di nomi del jazz e chi li produce localmente, o il puro caso, il trio non mi pare sia riuscito a produrre quel clima “funky” che sembrava ricercare. La temperatura non si è scaldata più di tanto. Forse ha suonato in un anfiteatro mezzo vuoto (causa distanziamento) come si suonerebbe in un club gremito di gente. E ha fatto abbastanza fatica, mi sembra, specie nella prima parte del concerto. Certamente nulla di nuovo, ma chi si aspetta il nuovo?
Nonostante queste considerazioni, da prendere cum grano salis, c’è sempre da essere contenti di assistere a esibizioni di Murray, di vedere Drake e Jones, di trovarsi in simili situazioni e di sentirsi orgogliosi di costruirle. E il pubblico diradato come da un pettine sbocconcellato ha apprezzato molto comunque.
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Michele Barontini: cronache da festival estivi Jazzespresso Rivista Jazz – copyright 2021
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