Michele Barontini: cronache da festival estivi – Quartetto di Attilio Zanchi
3 novembre 2021
Quartetto di Attilio Zanchi (Castello di Filattiera, Fastival dei Castelli in Lunigiana, 4 settembre 2021)
di Michele Barontini
giornalista in questo caso, batterista e polistrumentista di una generazione più anziana e ricercatore in campo etnomusicologico e letterario-filosofico. È uno degli amministratori delle pagine FB “Jazz Lovers” e “Music is the Healing Force of the Universe“. I suoi contributi sotto forma di articoli e testi vari sono consultabili su academia.edu.
Attilio Zanchi: contrabbasso
Tsimur Shved: sassofoni
Pietro Aloi: pianoforte
Sebastiano Ruggeri: batteria
Chi conosce la Lunigiana, la ama o almeno comprende che vi siano fondati motivi di farlo. Ci abito da qualche mese e penso di aver fatto un’ottima scelta. Essendo pisano di nascita, non mi sento per nulla forestiero qui. Nemmeno il dialetto più stretto riesce a farmi sentire tale. E per dire quanto questa terra mi sia risultata conosciuta dal primo momento, mi sono affezionato perfino alle erbacce che popolano i cigli delle strade e che rivedo regolarmente sui tornanti che si è costretti a fare per salire in uno dei tanti borghi della Lunigiana alta, quella che ho sentito chiamare “degli artisti”. Terra di rifugio già terra di emigrazione.
Dato che la sera nessuno viene nel mio borgo a organizzare qualche evento, decido di partire per tempo per raggiungere il castello di Filattiera e ascoltare Attilio Zanchi, uno della mia generazione, curioso di come si sia evoluto nel corso di questi ultimi quarant’anni più o meno. Nel buio parto e nel buio arrivo, trovo parcheggio facilmente, e dopo pochi metri a piedi vengo controllato, quanto al mio green-pass, da ben sette addetti alla protezione civile. Dissipati rapidamente i sospetti sulla veridicità dell’attestato, passo alla ricezione vera e propria che avevo avvertito telefonicamente e che mi dota di un pass in un batter d’occhio, mi augura una buona serata e mi dona una bottiglietta di purissima acqua di queste fonti. Eccellente.
Entro in una piccola bellissima piazza con ristorante e bar aperti e scorgo i musicisti che stanno prendendosi il caffè. Incontro l’amico Marco, anche lui pisano trasferitosi in Lunigiana, col quale mi dirigo verso il bar seguendo un gruppetto di ragazzi. Uno di loro dice che paga lui; Marco scherzando lo prende come un invito rivolto anche a noi due, e finisce che il ragazzo ci offre da bere senza meno, nonostante la baldanza di Marco e la mia si siano trasformate in un mezzo imbarazzo. Ma tant’è, come si scrive sui social, andiamo avanti. La piazza si sta riempiendo e già i musicisti armeggiano qua è la sul palco coi loro strumenti.
Attilio presenta, pacato e gentile, passa il microfono alla prima cittadina di Filattiera e alla direttrice del promotore Ente Valorizzazione Castelli; si saluta l’organizzatore, musicista anche lui, Max Aloe, e si comincia. Dal primo pezzo in poi Zanchi ci parla di scale, scale che lo hanno colpito come compositore, scale particolari o comuni, ma comunque scale. Penso ai miei tornanti e al fatto che per andare a casa debbo salire non solo per strada, ma anche in casa, per diverse rampe. Chissà che per lui il processo di composizione non debba passare per una salita, certamente comporta fatica, forse un lavoro che somiglia ad un processo ascendente-discendente. Certamente una dislocazione.
L’approccio tra interno ed esterno era già stato tratteggiato dalla responsabile dell’Ente della Valorizzazione dei Castelli della Lunigiana, che diceva che nel loro festival si intendeva portare il jazz a tutti e non fare una manifestazione riservata ai jazzofili. Jazzofili funzionanti ad accordi stanno in pianura, forse? E come la mettiamo col jazz come stile di vita? Scherzi a parte essere qui in vacanza e vedersi tutto il festival è davvero bello. Zanchi ha portato alcuni tra i suoi migliori allievi dal conservatorio di Milano. Tutti bravissimi. E non c’è da criticarli se non si sono gettati in performances arrischiate.
Quando avevo la loro età e suonavo in quelle che spesso erano poco più che osterie, qualcuno mi disse: “sei bravo, si, ma per buttarti di più avresti bisogno di berti un fiasco di vino prima di suonare”. Forse voleva vedermi cadere dalle scale.
Spero con questa brusca conclusione di non aver allarmato i miei lettori e mi propongo di trattare meno brutalmente i riferimenti al passato nelle prossime recensioni. Voglio vedere qualche altro castello. Ci sono tanti giovani in programma.
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Michele Barontini: cronache da festival estivi – Quartetto di Attilio Zanchi Jazzespresso Rivista Jazz – copyright 2021
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