Michele Barontini: So Long Afo!
11 luglio 2022
So Long Afo!
Giancarlo “Afo” Sartori, Pisa 1940-2022
Poi sarebbe venuto il vuoto infinito a frantumare ogni cosa riducendola ad una polvere che si perde nello spazio e tutto sarebbe stato inghiottito dal nulla. Ma non ci sarebbe voluto molto prima che tutto ricominciasse pian piano a prendere forma: i simulacri delle cose si sarebbero solidificati, le voci ormai disperse avrebbero ripreso a vibrare e sarebbero tornate a vivere le spoglie dei morti, mentre i tempi passati uscivano dal loro nascondiglio nell’aura eterea del creato, magazzino che non contiene neanche un atomo di cenere di sigaretta.
Samir Naqqash, Shlomo il Curdo, io e il tempo
Giancarlo Afo Sartori, nato nel 1940 e mancato nel mese di giugno di quest’anno, è stato senza dubbio un personaggio eroico tra coloro che hanno diffuso la cultura del jazz in Italia, a partire dalla sua città di Pisa. Un gran numero di musicisti italiani e non, grandi e piccoli, lo conosceva bene.
Era già tra quei giovani che nel 1960 si recavano sotto le carceri di S. Giorgio a Lucca ad incoraggiare il recluso Chet Baker, gridando “Forza Chet, Abbasso i preti!”, vale a dire il pubblico ministero del suo famoso processo per droga Fabio Romiti. Chet aveva il permesso di suonare la tromba in cella, cosa che oggi sarebbe più che impossibile.
Anarchico come un Carrarrino e in seguito anche comunista atipico nell’area di Lotta Continua e infine spirito libero e atipico e basta, Afo non aveva mai avuto nessun feeling né speranze nel blocco del socialismo reale, in compenso nutriva una collezione di dischi di jazz che cominciava a farsi cospicua già nei suoi anni verdi, quando viveva del mestiere di imbianchino che praticava insieme al fido socio Gigi.
L’ho conosciuto allora, quando era sulla trentina ed io avevo quattordici anni e potevo conversare con lui e avere accesso ai preziosi dischi, nonché alla sua ospitale tavola santificata dalla cara metà del cielo Gabriella. Era una tavola generosa a base di pasta, innaffiata copiosamente da fiaschi di vino e da una quantità di persone tra cui non poche interessanti, dove il jazz e le interminabili discussioni di politica post 68 si contendevano l’agorà di lunghi e popolati dopocena. E quanti risvegli infiammati ci portavano al lavoro o a scuola, dove eravamo pur sempre dei privilegiati, perché avevamo sempre qualcosa da raccontare, qualche domanda da fare, qualche tema da scrivere senza essere sopraffatti dalla noia del compito, sempre qualcosa (parecchio) da denunciare.
Correva molto amore, da una parte all’altra: prima a fiumi e poi a rivoli e rigagnoli, fatale che se ne sprecasse parecchio. È forse questo aspetto della nostra vita di allora quello che ha poi fatto parlare così tanto di “energia”, una energia da ritrovare o da creare interiormente, una merce rara, addirittura impossibile da produrre o da vendere (il bisticcio funziona bene specialmente adesso che ci troviamo adesso in piena crisi energetica).
In seguito, col riflusso degli anni 80 e nei 90 tutti hanno tentato altre strade. Quello che era stata espressione orale e il tentativo di dire cose nuove ma sempre al modo dei nostri padri e nonni, sembrava richiedere la serietà e la riflessione della scrittura; Afo ha risposto al richiamo della letteratura d’arte (quattro titoli) senza mai cessare di scrivere di jazz come giornalista e critico, dopo essere stato all’avanguardia della diffusione e dell’organizzazione negli anni 70. Ha anche tenuto per anni un ristorante dallo stile unico: l’Artilafo (dall’immaginifico nome del nonno materno, da cui il suo nickname breve “Afo”).
Altri cenacoli (e parecchi ristoranti) sono stati aperti, ma quello jazz di Afo e Gabri è stato il primo a Pisa. E il più popolare in tutti i sensi.
Chi vi ha partecipato e si è ritrovato a salutarlo per l’ultima volta, ha avuto la strana sensazione di ritrovare quell’impalpabile quintessenza distillata da Charles Mingus nel suo “Duke Ellington Sound of Love”, pur se qualcuno ci ha messo un po’ per riconoscere qualcun’altro e altri si sono ignorati come se fossero degli sconosciuti. Ormai non si trattava più delle promesse deluse della rivoluzione, ma della vita di tutti in un momento in cui tutto appariva essere come deve essere.
So long brother Afo!
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Michele Barontini: So Long Afo! – Jazzespresso Rivista Jazz – copyright 2021
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