Moncalieri Jazz: un espresso con Ugo Viola
16 febbraio 2021
Lettrici e lettori di JazzEspresso, benvenuti al settimo episodio di #bluemamavibes. Siamo oggi in compagnia di Ugo Viola, fondatore e direttore artistico di Moncalieri Jazz, e la nostra chiacchierata si sviluppa tra bicchieri di ottimo vino rosso e una degustazione di salumi e formaggi km zero offerta dal gentilissimo staff del Charlie Bird Torino.
> Gabriele Sinatra
Partiamo da una panoramica generale del Moncalieri Jazz Festival.
Moncalieri Jazz nasce nel 1998, quest’anno si festeggiano i venticinque anni! Siamo partiti con una “due giorni” all’insegna della musica jazz per poi passare ad una rassegna di dieci giorni con la seconda edizione. È da quel momento che siamo diventati internazionali, grazie anche all’ingresso di Toni Lama nel team, composto da me, Marco Viola, Valerio Signetto e Giorgio Cremona. È soprattutto grazie a Toni che siamo riusciti a portare i primi grandi artisti americani a Moncalieri. Altra grande innovazione rispetto alla prima edizione fu l’introduzione di seminari e lezioni di musica nelle scuole in concomitanza con il festival, oltre a mostre fotografiche e altri concerti in giro per la città, anche nei pub e nelle birrerie.
Dal decennale in poi invece abbiamo iniziato a proporre quindici giorni completi di programmazione, delineando il festival per come lo si conosce oggi. Risale al decennale anche il rebranding del festival: nel logo originale figurava Don Cherry davanti al castello di Moncalieri – per chi non lo sapesse, il grande trombettista visse a Moncalieri proprio a casa di Toni Lama.
Altro elemento introdotto nel tempo e di cui vado molto fiero è il premio “Incroci Sonori Jazz” ideato per favorire la crescita dei giovani. Si potevano vincere incisioni in studio, concerti o addirittura accordi discografici con la mitica Philology Jazz Records di Paolo Piangiarelli. Da questa iniziativa sono usciti musicisti come Michele Di Toro, Fabio Giachino, Walter Beltrami e tanti altri che oggi sono nomi importanti nel panorama italiano; ne vado molto fiero.
Qual è l’impatto del festival sull’economia del territorio?
In generale posso dirti che i festival sono importanti. Perfino la Bocconi ha pubblicato un libro in cui si analizza l’impatto dei festival sulle città. Detto questo, bisogna fare cultura in maniera intelligente, senza pestarsi reciprocamente i piedi tra realtà affini: Moncalieri Jazz, ad esempio, si fa a novembre proprio per non andare in competizione con gli altri jazz festival piemontesi che si tengono tra primavera ed estate.
Tornando alla tua domanda, posso farti un esempio su quanto sia forte la connessione tra Moncalieri Jazz e la città parlandoti della nostra notte nera: un’iniziativa nata sulla falsa riga delle classiche notti bianche ma con un evidente richiamo agli afroamericani. Si tratta di una notte di festa che coinvolge tutto il territorio, dagli hotel ai ristoranti, dalle enoteche ai cocktail bar, ed è coronata da concerto in piazza Vittorio Emanuele. Non è cosa da poco.
In tutto questo c’è sempre stato un rapporto molto stretto con l’arma dei carabinieri, perché la notte nera si svolgeva anche all’interno del castello, con visite agli appartamenti reali, visite storiche ecc. Questo è solo un esempio di come la cultura, se proposta nel modo giusto, possa attrarre turismo, incentivare i cittadini a frequentare il centro storico, i locali o anche solo fare due passi per vivere la città. Nel 2017 inoltre la notte nera è diventata blu, perché abbiamo sposato il GOALS n.6 dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – la sezione dedicata all’acqua – coinvolgendo la SMAT per far si che la musica diventasse un mezzo per veicolare messaggi culturali che vanno oltre l’arte.
L’economia della città ne ha beneficiato molto, anche se purtroppo il centro di Moncalieri è cambiato molto negli anni e la notte nera è stata messa in standby da tre anni. Peccato perché era un evento che coinvolgeva tutti, bambini, famiglie, giovani, adulti ecc.
Un dato positivo però, è che col tempo siamo riusciti a coinvolgere il territorio anche fuori da Moncalieri, e le location sono diventate più diffuse. Abbiamo anche eventi a Torino, per esempio al Lingotto o all’Auditorium RAI quando ci servono spazi dalla capienza maggiore.
Parliamo dell’offerta artistica del festival. Cosa ti piace proporre?
Abbiamo una direzione abbastanza eterogenea, considera che abbiamo anche chiamato a suonare diverse big band universitarie da molte città italiane. Ci piace anche giocare coi centenari per creare eventi a tema. Per citarne alcuni, abbiamo festeggiato Thelonious Monk, Dizzy Gillespie ed Ella Fitzgerald, ma anche Armando Trovajoli per restare in Italia: parliamo di colui che fondò l’orchestra ritmosinfonica jazz per la RAI!
Attraverso questo gioco delle ricorrenze riusciamo ad attingere a diversi tipi di pubblico, attingendo anche da altre discipline artistiche – abbiamo celebrato anche il centenario di Dante, per dire. Il tutto viene associato a musicisti come Paolo Fresu o attori come Pino Insegno, rendendo la manifestazione eterogenea e multidisciplinare. Un altro anno importante fu il 2018, incentrato sui diritti umani: per l’occasione avevamo invitato la prima nipote di Mandela, che accompagnata da Fabrizio Bosso, Rosario Giuliani e altri grandi personaggi di spicco fu protagonista di un evento in cui vennero lette le epistole che Nelson Mandela scrisse dal carcere.
Promuoviamo anche progetti sociali, come la big band di Pasquale Innarella che aiuta a togliere i ragazzi dalla strada per farli suonare.
Siete aperti a nuove proposte artistiche?
Il fatto di proporre artisti emergenti ci spaventa, perché temiamo che la gente non voglia andare a sentire le nuove proposte. Abbiamo trovato un buon compromesso ai tempi di Incroci Sonori Jazz, prendendo gli artisti vincitori ed inserendoli a spalla ai nomi piu grossi. Vorrei tornare a quella situazione, che purtroppo col tempo è stata accantonata. Nel tempo abbiamo collaborato anche con diverse scuole ad indirizzo musicale, per coinvolgere gli studenti in saggi e concerti durante il festival, a seguito di percorsi formativi e mentoring a cura di musicisti professionisti.
C’è da dire anche che nel tempo promoter e agenzie sono proliferate, andando a modificare molto il modo di interfacciarsi con gli artisti. Un consiglio che vorrei dare a riguardo è rivolto ai musicisti giovani: spesso avete grande qualità artistica, ma dovete riuscire a rendervi unici, esclusivi. Non andate a suonare ovunque accettando qualsiasi condizione, rischiate di svendervi e rovinarvi!
Cosa determina il successo o il fallimento di un festival musicale?
Il successo è nella caparbietà di chi fa la programmazione. Un festival vince quando riesce a dare continuità, anche nei momenti difficili, quando riesce a fare qualcosa di bello e memorabile anche in assenza di fondi. Sottolineo che noi siamo supportati dalla città di Moncalieri, dalla Regione Piemonte e da Fondazioni varie, ma non diamo per scontato che sarà per sempre così.
Quel che conta è che portiamo avanti una visione, cerchiamo di essere multidisciplinari e di coinvolgere pubblici diversificati, proponiamo una programmazione multidisciplinare, ci impegniamo dell’educazione del pubblico per far capire il reale valore della cultura. Questo è un argomento a cui tengo molto perché negli ultimi anni si è preso sottogamba il concetto di gratuità e si sta impedendo al pubblico di capire il reale valore di ciò che la cultura offre. Anche il pubblico deve capire quanta economia serve per metter su un evento ad ingresso gratuito, capire che in realtà nulla è gratis.
Perché organizzi Moncalieri Jazz?
Lo faccio perché per me la musica è vita, e sottolineo: non sono un jazzista. La musica mi piace tutta, mi intrippa. Lo faccio perché mi piace, ormai son venticinque anni che porto avanti questa idea e ho creato un evento di cui la città va fiera e non ha nulla di invidiare all’offerta generale nazionale. La soddisfazione del far girare l’economia del territorio, vedere come le varie realtà collaborano tra loro, come la città in senso lato si muove per metter su un evento di questo tipo è incredibile. Ci si aiuta. Sembra banale ma in un mondo cosi conflittuale è un elemento davvero bello.
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