Ricordando Piero Angela

14 settembre 2022

> Marco Basso

Nel dopoguerra Torino è un autentica fucina del jazz: l’Hot Club che aveva un nutrito gruppo di attivissimi soci organizza innumerevoli concerti e proprio in questo periodo iniziano la propria carriera Nando Buscaglione, il «Fred» di “Eri piccola”, il duo Gianni Basso e Oscar Valdambrini, Enrico Rava che inizia suonando il trombone, oltre un strabiliante pianista, Piero Angela in arte Peter, e un virtuoso chitarrista, Gigi Marsico, entrambi poi divenuti famoso come giornalisti in quota alla Rai.

«Ognuno di noi» rammenta Marsico «ai tempi dell’Università aveva un suo complesso, successivamente ci siamo messi a suonare insieme. Nel 1949 abbiamo fatto la stagione estiva alla Capannina di Sergio Bernardini a Viareggio, come i solisti dell’Hot Jazz Torino: Piero al piano, io alla chitarra elettrica. Appena potevamo  andavamo a Tombolo a fare incetta di V Disc, le incisioni jazz destinate alle truppe americane. Nel 1951 lavoravo come radiocronista alla RAI e ero riuscito a far entrare nella redazione del Gazzettino del Piemonte anche Piero e Mario Pogliotti. I“150 anni della banda di Trofarello”, 3 minuti di musica e interviste per il Gazzettino Padano, erano  stati  il primo servizio del pianista-aspirante radiocronista Peter Angela: un’amicizia, con loro, durata tutta la vita».

 

La rivista specializzata Musica Jazz riconosce ai musicisti piemontesi un ruolo rilevante tanto da segnalare nella speciale classifica per regioni del 1948 i torinesi Renato Germonio e “Peter” Piero Angela tra i migliori strumentisti in circolazione.

Dado Moroni, attuale valentissimo pianista, eccellente docente, spesso in tour con gli americani, racconta un aneddoto davvero divertente e prezioso: «Anni fa, mentre ero in tour col Modern Jazz Quartet, durante una lunga trasferta in bus, feci ascoltare a Ray Brown, Milt Jackson, John Lewis una registrazione di “Lovers” di Piero Angela del 1956 con una introduzione alla Art Tatum. Naturalmente non dissi nulla su chi fosse l’interprete. La tecnica e il suono erano talmente sbalorditivi che loro erano assolutamente convinti che fosse Tatum. Ci misi un po’ a convincerli. Quando lo raccontai a Piero non ci poteva credere e volle che glielo mettessi per iscritto per incorniciarlo. Quando suonavo a Roma faceva il possibile per non mancare mai ai miei concerti e spesso mi invitava a casa sua per parlare di musica. Alla fine mi chiedeva che mi sedessi al piano accanto a lui perché gli svelassi i segreti dell’armonia jazz. Piero Angela è stato veramente anche un pianista jazz».

«Forse non tutti sanno che all’inizio degli anni 50 era un esecutore di livello straordinario, tranquillamente paragonabile ai musicisti jazz americani che vivevano in quell’epoca. Se avesse continuato chissà cosa sarebbe successo: la mia modesta opinione è che sicuramente la storia del jazz italiano avrebbe avuto una evoluzione diversa – prosegue Moroni – era uno strumentista dotato di una tecnica scintillante e di una agilità sorprendente, ma la caratteristica che lo poneva avanti anni luce rispetto agi italioti pianisti dell’epoca era la sua modernità stilistica, che si ispirava proprio ad Art Tatum (una impresa non da tutti, sicuramente…) ma che soprattutto affondava le sue radici nel be-bop. Mi sono sempre chiesto come Piero, alla stessa stregua di suoi coetanei come Gianni Basso o Franco Cerri (per citarne alcuni) avesse potuto imparare questo linguaggio. Non tutti all’epoca potevano permettersi di acquistare un giradischi oppure, se lo possedevano, dove trovavano i dischi?  Non potevano certo andare alle Jam Session come a New York! Come facevano quindi ad imparare, memorizzare e interiorizzare canzoni, fraseggi e armonizzazioni?  Solamente ascoltando la radio. Dovevano aspettare una trasmissione che facesse ascoltare musica americana e sperare che mandasse in onda il brano che amavano, aprire le orecchie e memorizzarlo, interiorizzarlo e riprodurlo sul proprio strumento senza avere la prova che fosse giusto. Una sola parola: eroi».

 

Quando nasce il bop Peter Angela e Franco Mondini a Torino ne diventano i divulgatori. Lo suonavano nelle tante sedi del Jazz Club Torino che chiudevano per riaprire altrove, come la Cucina Malati e Poveri in corso Palestro, angolo via Bertola: con loro c’erano anche anche Nini Rosso, Sergio Fanni, Oscar Valdambrini, Renato Germonio e Mario Maschio, che dopo aver sposato Tonina Torrielli aprì il più famoso negozio di dischi in piazza Castello 43. Aldo Sperti, altro importante contrabbassista torinese afferma: «Accompagnavo Piero nelle sue prime interviste in via Po e poi lo accompagnavo col mio contrabbasso nella taverna di Roberto Sobrero e alle tante serate in cui ci esibivamo allo Swing Club in via Botero».

Fulvio Albano, sassofonista e attuale presidente del Jazz Club Torino, rammenta: «Mi sento figlio, allievo e amico di personaggi come  Gianni Basso e Piero Angela. Con l’orchestra di Gianni partecipammo a Superquark: Piero aveva un gran piacere di suonare con noi, ma anche una grande modestia, io l’ho sempre coinvolto: suonava meravigliosamente; lui ripeteva quello che affermava Ellington: il jazz significa tutto se c’è swing! Quindi dopo il 2006 l’ho voluto Presidente Onorario del JCT; suonò al mio Festival di Avigliana e al Jazz Club ogni volta che registrava in Rai a Torino».

 


Piero Angela e Fulvio Albano

Ma tra tutti gli amici Dino Piana, fuoriclasse del trombone nato nel 1939 a Refrancore, da decenni a Roma ha un ruolo tutto particolare: «Ero uno dei quattro moschettieri come ci chiamavamo, con Adriano Mazzoletti e Maurizio Vallone: una volta al mese ci vedevamo a cena e lì venivano fuori i ricordi fin dai tempi in cui si suonava a Torino. Era una amicizia profonda per il jazz perché ne era innamorato, come me. Voglio fare un disco con te, ci tengo-mi disse-ne abbiamo parlato due anni: siamo riusciti a registrarlo. Adesso spero di farlo uscire, bisogna solo più mixarlo e sarà il suo più caro ricordo». 

 

Piero Angela con Dino e Franco Piana

Anche Alberto Marsico, figlio di Gigi, uno dei più valenti musicisti all’organo hammond non dimentica certo Piero, grande amico di famiglia: «Come ci aveva abituato da quando è diventato un personaggio pubblico, Piero ci ha lasciato con la sua abituale e proverbiale riservatezza. Una persona che non voleva mai disturbare, pur essendo nella sua vita privata un elegante e allegro compagnone. Era un uomo pieno d’ironia, di arguzia e di curiosità, di musicalità e di senso artistico. Per me la sua morte è estremamente triste. Se n’è andato chi mi ha introdotto al mondo del jazz, facendomi scoprire il blues e il fatto che i brani di musica leggera che noi tutti conosciamo, potevano essere “modificati” e “armonizzati” in una maniera che a me, pivellino di dieci anni che studiava musica classica al pianoforte, (neanche con tanto successo), sembrava impossibile».

 

Piero Angela e Guido Marsico

«Piero (mi permetto di chiamarlo così perché era un amico di famiglia, avendo incominciato la sua carriera nella RAI insieme a mio papà nei primi anni ’50), avendo saputo che studiavo pianoforte, una domenica del 1977 si trovava a casa nostra a Torino e dopo pranzo chiese a mio padre di far partire il registratore e di getto incise due audiocassette BASF arancioni da 90 minuti che conservo gelosamente. Mi insegnò, nota per nota, l’armonizzazione di “ ‘O Surdato ‘Nnammurato”, che io suonavo all’epoca con mio nonno mandolinista. Ma soprattutto mi insegnò C JAM BLUES. Iniziò con il tema (apparentemente semplice, ma “suonarlo con swing è difficile”, come disse lui), poi mi spiegò il fatto che il giro armonico del blues era formato da dodici battute facendomi lo “spelling” degli accordi, e poi mi spiegò la linea di basso. Mi ricordo ancora che mi disse “prima che tu trovi un buon bassista ci vorrà del tempo, quindi è meglio che impari a far da solo, fino a quel momento”. Questo è il motivo per il quale, da allora,  suonai qualsiasi brano eseguendo la linea di basso con la mano sinistra e quando iniziai a suonare l’organo mi trovai già il lavoro bell’e fatto. Piero, sei stato con me ogni giorno della mia vita perché ogni volta che suonavo un basso con la mano sinistra pensavo a te. Da ieri ancora di più»

 

In ultimo ecco il ricordo di Paolo Fresu: «La prima volta che ho conosciuto Piero Angela è stato quando mi invitò, credo fosse il 2010, a Superquark: per me era un grande onore essere stato individuato da lui per raccontare e suonare la mia tromba. Il giorno della registrazione in Rai, attendevo che qualcuno mi venisse a prendere in hotel. Rimasi sorpreso e confuso quando mi si parò davanti proprio lui in persona per accompagnarmi, un personaggio della sua levatura.  Questo non fece altro che confermare la sua statura umana, oltre che quella di intellettuale che conosciamo tutti.Mi richiamò ancora in trasmissione, perché, mi disse, era felice di suonare con me.

In seguito ci siamo scritti e sentiti per telefono diverse volte: a ogni mio messaggio whatsapp rispondeva puntualmente una sua telefonata, segno che probabilmente non amava questo sistema di comunicazione. Tre anni fa volevo che diventasse Presidente Onorario de “Il jazz va a scuola”, l’Associazione che afferisce alla Federazione Italiana del Jazz Italiano di cui sono stato presidente fino a poco tempo fa. Mi rispose con tutta la sua consueta cortesia, declinando l’invito, perché non stava più cosi bene e temeva di non potersene occupare con particolare dedizione come avrebbe desiderato, ritenendo questa una missione fondamentale di divulgazione per i ragazzi.

L’ultima volta ci siamo sentiti tre mesi fa perché gli annunciavo il conferimento del premio Fondazione Mont’e Prama per i primi giorni di luglio: ma non  potè essere presente perché non si sentiva di affrintare il viaggio ed era oberato di lavoro per concludere le puntate di Superquark.

Abbiamo parlato spesso e a lungo di musica: dei suoi trascorsi, del suo passato, della sua enorme passione per il jazz, ma anche del suo cruccio di non aver potuto proseguire in modo professionale a suonare il piano, anche se poi ha fatto cose altrettanto, se non addirittura più importanti che hanno dato lustro al nostro paese  grazie a quel principio di divulgazione assolutamente onesto, profondo e professionale che lo ha sempre caratterizzato».

Con Piero Angela se ne va sicuramente un pezzo di quella Italia migliore della quale abbiamo sempre di più bisogno in questo momento e se ne va con un monito e una metafora estremamente importante e cioè di affrontare la vita con passione, profondità e con quella idea di poesia che ha sempre permeato la sua arte: e di fatto quella di Piero era un’arte. Questo lo rende un uomo che ha disegnato una parte importante del passaggio tra il XX e il XXI secolo.

Il provenire da Torino tanto più dà l’idea di una Torino gravida dal punto di vista jazzistico che tanto ha contribuito in quegli anni alla storia italiana del jazz. Con lui se ne va non solo l’illuminato intellettuale, ma anche un piccolo pezzo della storia della nostra musica jazz, cosi ricca e cosi importante.

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Marco Basso, nato a Torino l’8 febbraio 1958, laureato in Lettere con indirizzo artistico, docente di Storia dell’Arte; dal 1981 giornalista pubblicista; scrive su La Stampa come critico musicale. Dal 1976 ha collaborato con GRP Radio, Radio Reporter e Radioflash; dal 1983 al ’97 con la RAI, dopo aver vinto un concorso nazionale (Stereodrome, Planet Rock, Rai Stereonotte).
Idea con Nicola Campogrande “Le Chiavi Della Musica”, progetto di divulgazione musicale per gli studenti delle superiori avviato nel 96 per il quale scrive il testo “Orecchie: istruzioni per l’uso”. Progetta Radio Atrium per le Olimpiadi Invernali e dal 2004 al 2007 ne segue la programmazione.
Prosegue  l’attività radiofonica in fm (Gruradio 93.3) e web (Ldc 95). Per il Torino Jazz Festival realizza “Pagine di Jazz” nel 2012, e nel 2013 “Ars Captiva Groove” . Nel 2015 scrive il libro “Torino la città del Jazz”. Presenta a Mascalucia (Catania) l’Etna in Blues Festival 2011,2012, 2013;  l’ultima serata del Moncalieri Jazz Festival del 2013, 2017, 2018, 2019 e le quattro serate in streaming nel 2020. 

 

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