Solitudo: un espresso con Anais Drago
Image Credits: Elisa Caldana
8 maggio 2022
Artista italiana vincitrice della categoria nuovi migliori talenti dalla rivista ‘’Musica Jazz’’ 2020, Anais Drago si muove tra le sonorità del jazz, del rock, della world-music, dell’avanguardia e della sperimentazione. Indubbiamente il futuro è dalla sua parte e le riserverà bellissime e intense sorprese.
> Marco Basso
La vittoria del Top Jazz sezione “nuove proposte” mi lusinga infinitamente, arriva dopo anni di intenso lavoro, giungendo in un momento in cui ho un progetto in solo; questo premio non è mio e basta: mi sento di condividerlo con tutti coloro che hanno contribuito a questo risultato! E vorrei anche sottolineare che sono anche felice anche di condividere il premio a pari merito con Francesca Remigi, musicista fantastica e amica cara.
Giovane, poliedrica e talentuosa. Tre aggettivi che ti sono cuciti addosso: concordi?
Mi ci riconosco in effetti: il primo è dovuto a una questione anagrafica! Poliedrica descrive bene il mio percorso musicale, accademico e non. Talentuosa non sta a me dirlo; l’impegno e i sacrifici non possono passare sotto la voce “talento”, ma se qualcuno lo afferma di certo non mi offende.
Com’è nata la tua passione per il violino e poi per il jazz?
Ero troppo piccola quando ho iniziato per dire che fosse nata una passione. Certamente, se in questi venticinque anni non ho mai smesso, un afflato ci dev’essere. Per il jazz è diverso: l’ho scoperto da ‘’grande’’, quando era più plausibile appassionarsi a qualcosa. Sapevo di dovermi rimboccare le maniche per avvicinarmi al jazz in modo proficuo, ma – per la prima volta nella mia vita – stavo intraprendendo un tragitto a lunga percorrenza: ero estremamente fiduciosa che valesse la pena intraprendere questo viaggio.
Il violino è stato uno strumento fondamentale all’alba del jazz, poi troviamo qualche sporadico personaggio nel jazz rock. Infine è stato dimenticato. Oggi lo stai rivalutando e tanti musicisti ti vogliono nelle loro formazioni e dischi.
Credo che quando in un percorso di formazione ci si affida a pochissimi modelli, ci sia il rischio di plagiarli. Scelta istintiva che mi ha concesso di studiare, in questi anni, moltissimi strumenti, pur suonando solo il violino. Che molti musicisti mi invitino nei loro progetti discografici, è un sogno che si realizza. È il modo migliore, e anche il più divertente, per continuare a studiare, scoprire mondi nuovi e conoscere nuove persone, che è l’effetto collaterale del fare la musicista che più adoro.
Sei nel direttivo del MIDJ: una necessità con precisi obiettivi?
MIDJ è un’associazione importantissima alla quale sono profondamente debitrice. La mia prima grande occasione nel mondo del jazz italiano, ovvero la residenza artistica di un mese e mezzo a Bangkok nel 2018, è avvenuta grazie al bando AIR, ideato e realizzato dall’associazione. Durante il primo lockdown ho sentito il bisogno di dare il mio contributo e mi sono candidata al direttivo di MIDJ, per un mandato biennale che è in scadenza. Una volta entrata nel direttivo ho avuto il piacere di collaborare con persone incredibili (oltre che grandi musicisti), che si danno moltissimo da fare per il prossimo, sobbarcandosi spesso di impegni e questioni che farebbero perdere l’entusiasmo al miglior (o peggior) burocrate. È un’attività estremamente impegnativa, ma far parte di questa squadra mi ha fatta crescere moltissimo.
Tante residenze. Tappe straordinarie per arricchire la propria personalità artistica.
È vero, sono la ragazza delle residenze! Dal 2018, anno della residenza a Bangkok di cui ho parlato sopra, ho avuto l’enorme piacere di partecipare alla residenza di ‘’Una striscia di terra feconda”, festival italo-francese diretto dal M. Paolo Damiani, il progetto ‘’Orchestra Aperta”, l’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti, e tanti altri progetti ancora dei quali ho fatto parte. La residenza artistica è un’esperienza unica, totalizzante, che ti strappa dal mondo reale e ti fa vivere in una bolla, in cui esiste solo la musica. Non nascondo che, ogni volta che ne finisce una, sia traumatico il ritorno alla vita reale, ma i semi gettati durante i giorni o settimane di residenza quasi sempre germogliano, più avanti, in bellissimi fiori. Sono esperienze preziose che vanno incoraggiate e sostenute.
Il tuo recente cd: ci racconti il progetto?
Solitudo, questo il nome del mio disco in solo di recente uscita per l’etichetta Cam Jazz, nasce grazie ad un premio ricevuto alla fine del 2020, il Premio Taste of Jazz, indetto da Novara Jazz e sostenuto da NUOVO IMAIE, ai quali sono estremamente grata. Il premio mi ha permesso di incidere un album e di fare un tour di concerti, con il progetto in solo, che già da qualche tempo avevo all’attivo, ma che con l’occasione di questa grande opportunità, ho sviluppato e modellato con particolare attenzione. Il mio è un solo camuffato, poiché sola non sono mai veramente: l’utilizzo di pedaliera multi-effetto, di un looper, di più violini e anche talvolta della voce conferisce al mio disco, e di conseguenza ai miei concerti, una pluralità di voci. In questo solo si mescolano parti rigorose, quasi matematiche, ad altre completamente improvvisate, convergono storie, miti, ma anche paesaggi e suggestioni più intime. E’ una dimensione, quella del solo, in cui mi perdo e mi ritrovo costantemente, e questo mi piace molto.
C’è un progetto irrinunciabile per te?
Al momento è proprio il solo. Suonare in solo vuol dire mettersi totalmente a nudo, e mi piace. Fortunatamente, faccio parte di moltissimi progetti, alcuni dei quali particolarmente numerosi, quindi anche in questo periodo non mi è mancato di condividere il palco con altri musicisti. Sicuramente tra i progetti futuri c’è quello di tornare a lavorare con un progetto di band, per il quale sto scrivendo del materiale.
Oggi il jazz è un po’ tutto e il contrario di tutto? Per te quali sono i suoi caratteri essenziali?
Credo che il jazz sia un contenitore dalla forma e dal volume estremamente duttili, che per sua natura ha quindi accolto le inevitabili derive che esso stesso ha causato. Sarebbe forse contro la sua stessa natura rinnegarle. Personalmente, il jazz mi ha offerto un punto di vista e forse, non lo escludo, anche una via di fuga da un mondo verso il quale non nutrivo alcuna attrattiva. Non avessi scoperto il jazz, ora non farei la musicista, ne sono piuttosto sicura.
Cosa ti diverte di più come musicista?
L’elemento più bello della musica è che nessuno vivrà mai abbastanza per ascoltarla e studiarla tutta. E’ un linguaggio in cui si riversano tutti gli elementi costituenti un periodo storico e geografico, con i suoi eventi epocali, uniti all’inclinazione del singolo o di gruppi di singoli individui. L’evoluzione della musica è imprevedibile. Farne parte, con l’occhio e l’orecchio privilegiato per coglierne almeno un milionesimo, è un privilegio.
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Le prossime date di Anais:
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